Loris Cecchini
Spoleto, Palazzo Collicola, dal 30 giugno al 28 ottobre 2019
Nato a Milano nel 1969, Loris Cecchini vive e lavora a Milano.
Ha esposto il suo lavoro a livello internazionale, con mostre personali in prestigiosi musei tra cui il Palais de Tokio(2001, 2005, 2007), Musée d'Art Moderne di Saint-Etienne Métropole (2010), il MoMA al PS1 di New York (2006), il Shanghai Duolun MoMA di Shanghai (2006), il Casal Solleric Museum di Palma di Maiorca, il Centro Gallego de Arte Contemporanea a Santiago di Compostella, la Kunstverein di Heidelberg, Quarter di Firenze, Il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (2009), Fondazione Arnaldo Pomodoro (2014).
Loris Cecchini ha partecipato a numerose esposizioni internazionali tra cui la 56esima , la 51 esima and the 49 esima Biennale di Venezia (2001, 2005, 2015), la Biennale di Shanghai (2006, 2012), la 15 esima e la 13 esima Quadriennale di Roma, la Biennale di Taiwan a Taipei, la Biennale di Valencia in Spagna (2001), la 12 esima Biennale Internazionale di Scultura di Carrara, il Ludwig Museum a Colonia, Palazzo Fortuny a Venzia, Macro Future a Roma.
L’invito rivolto a Loris Cecchini (artista indirizzato verso la radicalità di materiali avveniristici e tecniche di produzione altamente specialistiche e innovative), a misurarsi con gli spazi e gli apparati decorativi della Galleria dell’Appartamento Nobile e della Sala degli specchi di Palazzo Collicola, potrebbe risultare a prima vista incongruente, squilibrato, fuori luogo, insomma un azzardo.
Eppure l’intento era proprio quello di continuare l’idea dello spazio decorato a motivi floreali, tipici del barocchetto spoletino e degli interni di Palazzo Collicola, con un linguaggio che ne è in senso letterale l’evoluzione ingegneristica contemporanea.
Le fronde che si stagliano sulle pareti e la volta della Galleria dell’Appartamento Nobile sembrano realmente propagarsi e svilupparsi negli intrecci dei moduli di acciaio lucidato delle tre sculture Waterbones che pendono dal soffitto, dove anticamente si trovavano lampadari di Murano. Il riflesso metallico, freddo, glaciale e luminoso dei moduli di Cecchini rispecchia luce naturale che entra dalle finestre e dipinta sulle pareti e le volte e si integra perfettamente nell’ambiente, quasi materializzando traiettorie invisibili di luce. Le strutture modulari, avvitate una dopo l’altra secondo criteri algoritmici sviluppati però in modo intuitivo e a occhio, imprevedibili, rendono queste sculture aeree e leggerissime una sorta di meraviglia barocca ipertecnologica.
Il significato delle sculture di Cecchini è nella loro struttura e nella scelta dei materiali, elementi che si combinano per necessità interne, che potremmo definire naturalistiche. I moduli di Sequential interactions in alfalfa chorus che nella sala degli Specchi formano dal pavimento una sorta di grande cactus robotico e modulare confermano un’origine botanica e organica di sculture che solo in apparenza deviano da ciò che è naturale.
Lo stesso può dirsi dei moduli che sulla base esterna della Piazza danno vita a una specie di albero criogenico, fatto di cristalli congelati, flessibili e oscillanti, che alla luce diurna e notturna ricombinano su di loro l’ambiente circostante.
Cinque sculture per circa trecento moduli animano dunque uno spazio del XVIII secolo e una piazza pubblica senza alcuna rottura formale della storia e degli ambienti: la contemporaneità non è questione di date ma di approcci e il tempo ne risulta rafforzato. L’Antico prende nuova vita dal Nuovo e il Nuovo si nutre della linfa dell’Antico.
L’opera di Cecchini, artista sperimentatore di principi di crescita formale, rizomatica, fluida, capace di cogliere come pochi altri nel panorama internazionale la bellezza dei materiali industriali di ultimissima generazione, è sintomo del nostro tempo, dove la ricerca progressiva di forme sempre più funzionali e efficienti non può evitare che l’estetica debba avere un punto centrale nel processo. Cecchini lavora sulla pelle della scultura, ne diminuisce il peso, esalta le superfici, modula le vibrazioni di pareti, costruisce habitat di contemplazione e di vita. Nel passato ha inventato oggetti molli, messo a fuoco deserti fotografici post-urbani o ideato roulotte/capsule di sopravvissuti a una catastrofe nucleare. È un artista che sarebbe forse piaciuto all’architetto, designer, inventore Richard Buckminster Fuller (1895-1983), che ha fatto della cupola geodetica (e quella di Spoleto ne è un emblema) il principio fondamentale di una visione che per la prima volta definiva la terra come un’astronave su cui l’umanità viaggiava e di cui doveva quindi aver cura e che mise in campo fin dagli anni Sessanta questioni oggi cruciali come quelle della sostenibilità. I suoi studi sulle forme elementari che compongono il cosmo (matrici di tetraedri) sono quanto di più simili alle strutture di Cecchini composte da forme elementari che ricombinandosi danno vita a apparati plastici ogni volta diversi.
La totale assenza di iconografie allusive, di simbologie, di metafore legate a immagini tratte dai media, dalla società, dalla storia dell’arte, nella scultura di Cecchini testimonia di una ricerca radicale verso iperspazi empirici, modelli alternativi di vuoto e di pieno, di forme/non forme. Ospitare questa ricerca sperimentale in un Palazzo antico e in un piano musealizzato ( l’Appartamento una volta abitato dalla famiglia Collicola), vuole evidenziare come l’arte contemporanea possa essere una questione legata al flusso del quotidiano e della storia, facendosi cerniera tra tempi e modi diversi, proprio come i moduli di Cecchini si avvitano uno nell’altro dando vita a un unico flusso spazio/temporale immesso nei nostri tempi, gocce di mercurio liquido che misurano la temperatura delle nostre scoperte e dei nostri progressi in ogni campo del sapere, sia tecnico che estetico, o meglio tecnico proprio perché estetico.
Marco Tonelli
Direttore artistico Palazzo Collicola