L’opera è stata acquistata dal Comune di Spoleto nel 1984 ed esposta nella mostra curata da Giovanni Carandente nell’ambito del XXVIII Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1982. Già pubblicata nel 1989 nel catalogo Nuove Acquisizioni della Galleria Civica d’Arte Moderna del Comune di Spoleto (a cura di Cesare Vivaldi, Lamberto Gentili, Enrico Mascelloni), è stata esposta nella collezione permanente di Palazzo Collicola a partire dal 2019, in occasione del nuovo allestimento e dello spostamento della collezione dal piano terra al secondo piano.
Dipinto di aspirazione monumentale, sorta di pala d’altare contemporanea (aspirazione verso un “mistero laico”, per utilizzare un termine di Barni), rappresenta per ceri versi la risposta colta e acculturata del pittore a quello che all’epoca si stava delineando come il movimento di maggior successo di critica e di mercato in Italia e in campo internazionale, quale la Transavanguardia italiana.
Sebbene Barni si sia affermato e venga attualmente riconosciuto più come scultore che pittore, Tempio delle cariatidi viventi dimostra le raffinate capacità dell’artista di sapersi mettere in dialogo con la tradizione della grande pittura italiana che va dal Manierismo alla Metafisica di Alberto Savinio, in senso non citazionista né espressionista, ma di rielaborazione del linguaggio antico in una traduzione che possiamo definire senza mezzi termini “postmoderna” nel senso più valido e proficuo della parola, cioè non come indifferenza e saccheggio delle forme pittoriche del passato, ma come rivisitazione e attualizzazione della loro memoria e dei loro presupposti formali.
La visione di Barni che emerge in questo dipinto esprime bene il suo tentativo di trovare una sintesi naturale tra stili pittorici diversi, superando le differenti etichette dell’epoca di “nuovo classicismo”, “anacronismo”, “neomanierismo”, “nomadismo” o “neoespressionismo”, utili solo, secondo lo stesso Barni, a “tirare il carro dell’espressionismo becero e selvaggio”.