Pittrice e scultrice lituana, nata a Kaunas, di incerta data di nascita (1889, 1899 o 1900 come pur si evince da documenti ufficiali o dal suo diario personale), di origine ebraica (il padre era un rabbino e lo zio uno studioso di Talmud), si diplomò in pianoforte presso la Royal Academy di Londra dove andò a vivere con la madre nel 1905 per poi trasferirsi a Roma nel 1942, dove entrerà a far parte della Scuola di Via Cavour, sposando il pittore Mario Mafai. La sua esperienza di vita in ambito internazionale (farà frequenti viaggi anche a Parigi e poi in Cina e in Spagna, come testimonia il disegno dal titolo Cordova del 1959, conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Spoleto), il suo ritiro in Liguria durante le leggi razziali, ne fanno una delle poche scultrici artiste del Novecento italiano dalla cultura realmente cosmopolita.
L’uomo ritratto nell’opera, Emilio Jesi, collezionista anch’esso di origine ebraica, aiutò la Raphael a durante la sua fuga dalle persecuzioni razziali, ospitandola a Roma nel 1943 al suo ritorno nella capitale da Quarto Ligure, dove il collezionista Alberto Della Ragione l’aveva a sua volta ospitata insieme al marito e alle tre figlie, tra cui la celebre scrittrice Miriam e la disegnatrice di moda Giulia.
Il ritratto, insieme alla scultura dal titolo La pensierosa, fu esposto in occasione del IV Premio Spoleto nel 1956, in cui ottenne il premio acquisto per la scultura di 200.000 lire. Il gesso di quest’opera inoltre (di cui esiste anche una versione del 1940 in onice del Brasile presso il Museo Novecento di Firenze) era stato esposto nella mostra personale della Raphael presso la Galleria Barbaroux di Milano nel 1947 e figura tra le opere presentate dall’artista alla Quadriennale di Roma nel 1952.
Come ebbe modo di osservare il gallerista e critico d’arte Stefano Cairola nel 1946 “il ritratto è sentito da Antonietta Raphael Mafai nella sua fondamentale essenza di massima penetrazione umana. Il problema psicologico diventa un problema di spiritualizzazione del carattere”, mentre Roberto Longhi aveva definito la scultrice “una sorellina di latte di Chagall”. La somiglianza di quest’opera con la ieratica fissità di un imperatore romano o di una scultura egizia (ad esempio col cosiddetto Sindaco di Ka’aper, conservato al Museo egizio di El Cairo) ne fanno un ottimo esempio di ritrattistica che sa cogliere con estremo realismo, declinato quasi in senso magico e nobile, le pieghe più nascoste e sensibili dell’animo umano.